mille modi di usare una card

Sono vagamente di fretta.

Devo passare da SheDevil e poi partire in auto alla volta di Zion.
Sono in un ritardo non da poco e devo prelevare al bancomat. Operazione che trovo noiosa, ma semplice e veloce. Che di rado causa intoppi. (Ricordo solo una volta che in Campo Marzio sopraggiunse la polizia con le pistole in mano urlando come pazzi, ed ebbero come risposta un commesso giovane che, con gli occhi al cielo e le braccia allargate esclamò: “lo vogliamo aggiustare questo cazzo di allarme che è la terza volta che succedeee!” Mentre io cercavo di dissimulare imbarazzo esclamando “ma no, mannaggia, mi si è sciolta la barretta di cioccolato che tenevo nella tasca posteriore dei pantaloni”.)

 

Arrivo Quindi al bancomat di Cavana. Sono il terzo della mini-coda. Al primo posto, malauguratamente, una coppia di scarti umani. Nella fattispecie due scarti di motociclismo.

Lui & Lei. Entrambi in evidente soprappeso ma senza sembrare flaccidi. Molto vicini ai 50, ma tentando disperatamente di sembrare giovani ontheroader bukowskiani.

Al braccio hanno due caschi (ho capito, siete due motociclisti).

E hanno un paio di Jeans sgualciti, talmente aderenti che darebbero noia a Pistorius.

Entrambi con ai piedi degli stivali. Nel settembre più caldo che l’effetto serra abbia mai conosciuto. (Ho capito, siete due motociclisti vagamente cowntry).

Lui ha un gillet in pelle con le frange che danzano al vento. (Ho capito, siete due motociclisti vagamente cowntry, tendenzialmente western)

Lui ha i guantini in pelle torchiati (ok, ok. Siete due motocicilisti cwntry, western e senza alcuna sensibilità termica).

 

Una coppia appassionata di Guinness dei primati. Evidentemente lui, dopo aver rotto con fronte 174 tavolette del wc in 2 minuti, su pressione della signora ha deciso di affrontare il record del prelievo più lento del nord-est.

E mi rivolgo a te, inutile truzzo obeso a due ruote.

Vista la raffinata aura intellettuale che sprigioni dal vivaio di mitili che si è generato sotto le tue ascelle, posso immaginare che alla soglia dei cinquant’anni quello sia il primo bancomat della tua vita. E ti vedo mentre te lo passi da una mano all’altra, con fare circospetto. Lo ausculti, lo annusi, con le labbra all’infuori. Guardi la tua donna agrottando le sopracciglia, alzi le spalle e le dici “Uh”. Come solo Bingo Bongo farebbe.

Io capisco che, fino ai 49 anni hai sempre che il bancomat fosse quell’utensile per lavorare la cocaina sulla tavoletta del cesso di un cowntrybar, o per aprire la porta di entrata di case che vorresti fossero tue.

Davvero, non è colpa tua. Ma perché adesso, che la tua vita è un’altalena tra un bar e un meccanico devi decidere di affacciarti alla modernità intellettuale?

 

Mentre mi rivolgo telepaticamente al mio interlocutore, mi accorgo che i due, da circa una trentina di secondi (che sembra niente, ma in coda al bancomat sono eterni) stanno pacatamente dialogando, gesticolando. Lui si gratta la guancia ruvida. Lei si passa una mano tra i capelli stopposi. Esprimono dubbi e indicano lo schermo del bancomat.

 

Non ce la faccio più. Incuriosito sbircio.

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